Diamo ormai tutti per scontata la possibilità di accedere alle risorse online quando lo desideriamo, in ogni momento e da qualsiasi dispositivo entro la nostra portata.
Dimentichiamo invece troppo spesso che, per qualcuno, ancora oggi rimane un privilegio.
La causa non è da ricercare sempre nel divario digitale, ma nelle imposizioni di alcuni governi che scelgono deliberatamente di mettere offline interi paesi. Così facendo, rendendo inaccessibili per i loro popoli le informazioni e i mezzi di comunicazione, privandoli di fatto di libertà fondamentali. Interi paesi offline: il prezzo da pagare
Tutto ciò ha un prezzo, anche (e non solo) in termini economici. Le ricadute di queste pratiche sono state calcolate da alcuni ricercatori, che oggi forniscono una stima: oltre 27 miliardi di dollari dal 2019 a oggi, stando a quanto si legge nella nuova edizione dell’indice Global Cost of Internet Shutdowns.
Secondo il report pubblicato, nel corso degli ultimi due anni e mezzo sono stati registrati 301 spegnimenti rilevanti, in 48 paesi differenti. Di questi, 54 si sono verificati dall’inizio del 2022, per un totale di interruzioni pari a 19.415 ore.
Non tutte le misure restrittive applicate dai governi si manifestano con le stesse modalità e con uguali conseguenze. In molti casi è impedito l’accesso a risorse specifiche, perlopiù localizzate all’estero con infrastrutture ospitate da nazioni considerate ostili. Non a caso, in molti (soprattutto in Russia) si stanno rivolgendo a strumenti come le VPN (Virtual Private Network) per aggirare blocchi e censure in un momento tanto delicato.
Ops! Tech blog... e non solo
Il prezzo di un mondo offline!
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