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Il nuovo digitale terrestre è ormai alle porte. Con oggi mancano esattamente 17 giorni allo spegnimento di tutti i canali TV che ancora trasmettono con codifica Mpeg-2. In altre parole, dal 21 dicembre 2022 tutte le emittenti trasmetteranno in qualità HD.
Si tratta di una tappa fondamentale, ma che non sarà l’ultima. Infatti, a gennaio 2023 ci sarà il passaggio definitivo al nuovo standard trasmissivo DVB-T2 – HEVC Main 10. Il Ministero delle Imprese e del Made in Italy non si è ancora pronunciato in merito alla data ufficiale.
Nondimeno, tutto dovrebbe avvenire entro i primi giorni dell’anno. Tanto fa visto che dal 21 dicembre 2022 tutti dovranno essere dotati di un apparecchio compatibile al nuovo digitale terrestre per vedere i canali TV solo in HD. Se ancora non ti sei adeguato devi sbrigarti!
Puoi dare un’occhiata alle migliori offerte migliori offerte Amazon dedicate ai decoder DVB-T2 dedicate ai decoder DVB-T2. Nello specifico però ci sono alcuni dispositivi, tra i migliori sul mercato, a prezzi decisamente vantaggiosi, tra cui il PICCO T265+ che consiglio sempre (recensito qui tempo fà).
Link al Device:
Edison PICCO T265+: https://amzn.to/3iAa0C9
Altri device: https://amzn.to/3izoxy2
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Ebbene si... gli ultimi aggiornamento dei firmware HP delle stampanti obbliga a utilizzare toner originali! (o rigenerati fatti bene a livello di chip sul toner)
Ma come ovviare a questo problema???
Il firmware spesso viene aggiornato direttametne dalla stampante se questa è direttamente connessa a internet o è abilitata a navigare.
Prima di tutto vi consiglio di disabilitare gli aggironamenti automatici sulla stampante.
dopo di che bisogna procurarsi un firmware precedente per il modello di dispositivo, ma la cosa non è così facile... HP ha rimosso i link diretti alle versioni precedenti, dunque è necessario dotarsi di pazienza e cercarlo nel web, facendo attenzione a recuperare qualcosa di "buono e genuino" per evitare di bloccare per sempre la stampante...
Nel mio caso la stampante è una M281fdw e fortunatamente è un modello archiviato quà e la... ad esempio su archive.org, ma puoi trovarle una copia(salvalo con: "pulsante destro sul link, salva come") anche sul mio blog e salvala in una cartella comoda.
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Mail-Tester è un servizio online per il controllo qualità delle tue email.
È utile perchè effettua automaticamente diversi controlli – non solo a livello dell’HTML della mail, ma a livello di tutta l’infrastruttura di invio – e permette di ridurre sensibilmente la probabilità che la tua email finisca nello spam dei tuoi utenti, utilissimo soprattutto se si gestisce un server di posta in autonomia.
Il servizio è completamente gratuito!
Esiste tuttavia un livello a pagamento che sblocca funzionalità avanzate, utili ad esempio ad aziende che abbiano una piattaforma di invio email e vogliano integrare il servizio di mail tester direttamente nel loro strumento.
Considera inoltre che l’indirizzo email generato resta valido per 7 giorni. Con la versione a pagamento questo tempo si prolunga a 30 giorni.
Ma come funziona mail-tester? Il massimo della semplicità. Ti colleghi all’indirizzo mail-tester.com ed il sistema genera automaticamente un indirizzo email temporaneo per effettuare il test di ricezione, tu scrivi all'email generata e il sistema valuta cosa ha ricevuto in un report abbastanza dettagliato, basta tornare su Mail Tester e premere il pulsante azzurro “POI CONTROLLA IL TUO PUNTEGGIO”
Semplice e veloce. Un ottimo strumento da utilizzare per migliorare la deliverability delle tue email.
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L’era della singola password condivisa tra tutti gli account si è definitivamente conclusa. I frequenti data breach di servizi anche molto popolari hanno evidenziato l’importanza di utilizzare password non solo robuste ma soprattutto univoche per tutte le proprie attività online e, dove possibile, abilitare anche il secondo fattore di autenticazione.
Ma l’uso di tante password complesse e diverse tra loro ha creato una nuova necessità, ossia quella di archiviare tutte queste informazioni in maniera sicura e allo stesso tempo facilmente accessibile. Necessità prontamente soddisfatta da numerosi password manager nati negli ultimi anni, alcuni dei quali sono stati direttamente integrati nei maggiori sistemi operativi mobili e desktop (come Google Password Manager o iCloud Keychain).
Soluzioni dunque estremamente collaudate e diffuse, che però soffrono tutte dello stesso difetto, ossia il fatto che informazioni vitali per la nostra organizzazione sono in possesso di aziende terze su cui noi non possiamo esercitare nessuna forma di controllo.
La domanda che sorge dunque spontanea è: esiste un’alternativa valida, un prodotto che ci restituisca il pieno controllo di questi preziosi dati? Una delle risposte più valide a questo quesito è KeePass, un password manager dalla storia quasi ventennale divenuto talmente popolare da affermarsi come vero e proprio standard per l’archiviazione di dati su file.
Il motivo dell’incredibile successo e diffusione di KeePass è legato proprio alla sua semplicità: dimenticati dei complessi sistemi di sicurezza per proteggere i server dagli attacchi adottati dai password manager cloud a protezione delle nostre preziose informazioni, tutto è archiviato localmente, su un file criptato (con l’estensione kbdx 2, divenuta ormai uno standard e compatibile con numerosi client open source e non) protetto da una master password e da un eventuale secondo fattore di autenticazione hardware.
Un ulteriore punto di forza di KeePass è la sua natura open source che garantisce la sicurezza del codice (grazie alla community numerosa e attiva che lo continua ad aggiornare e modificare) e la nascita di diversi client alternativi che risolvono alcuni dei principali difetti presenti nel client tradizionale, quali l’interfaccia grafica datata e la scarsa compatibilità con i sistemi operativi mobili e UNIX.
Proprio a questo riguardo mi sento di consigliare l’utilizzo di due client alternativi, KeePassXC e KeeWeb, entrambi dotati di interfacce moderne, funzionalità aggiuntive e di release per qualsiasi sistema operativo, anche mobile. L’ultimo potente strumento messo a disposizione da KeePass (purtroppo quasi esclusivamente disponibile sul client tradizionale) è la combinazione delle funzionalità di trigger e URL override, che permettono rispettivamente di automatizzare pressoché qualsiasi azione sul database (salvataggio, copia, sincronizzazione etc.) e di integrarsi con programmi terzi direttamente da KeePass (per aprire un tunnel ssh con putty utilizzando le credenziali memorizzate nelle entry).
Bisogna dire che qualche difetto è intrinseco nella natura di KeePass, come il fatto che la sicurezza garantita dall’archiviazione su file lo rende allo stesso tempo poco incline (a meno di personalizzazioni specifiche poco user friendly) all’utilizzo multi-utente. Considerato comunque che umanamente è più facile ricordare una master password piuttosto che centinaia e che il file, senza chiave d’accesso è intelligibile perché cifrato e quindi buckappabile, questi difetti intrinseci sono facilmente mitigabili.
Riassumiamo i pregi e difetti principali:
Pregi di KeePass
- Gratuito.
- Grande flessibilità.
- Assoluto controllo sull’archiviazione delle informazioni.
- Garanzia sull’assenza di backdoor assicurata dal codice aperto o oggetto di revisione della community.
- Possibilità di salvare anche file e creare record personalizzati.
- Profonda integrazione con i browser e possibilità di creare scorciatoie e integrazioni con software terzi.
- Disponibilità di numerosi plugin e client alternativi capaci di soddisfare pressoché qualsiasi esigenza.
Difetti di KeePass
- Assenza di supporto.
- Difficile integrazione in un ambiente multi-utente.
- Impossibilità di recuperare i dati in caso di master password dimenticata o file corrotto.
- Meno “user-friendly” e moderno come user interface di altri prodotti.
KeePass è Sicuramente a utenti consapevoli, visto che si tratta di uno strumento open source e non esiste dunque nessun supporto ufficiale a cui scrivere in caso di problemi (escluso ovviamente quello fornito della community). La sua grande flessibilità richiede un po’ di tempo e skills informatiche per sfruttarne le piene potenzialità ma, nonostante questo, mi sento di consigliarlo a chiunque voglia progressivamente riprendere il controllo dei propri dati slegandosi dalle logiche cloud e magari sfruttare le potenzialità di questo genere di prodotti per automatizzare alcuni processi altrimenti manuali.
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Sin dall'inizio è stato usato un aggettivo per definire questa tecnologia e alla sua introduzione nelle nostre vite: inevitabile!
Avendole vissute in prima persona le conversazioni le ricordo chiaramente, “finiremo tutti sul cloud”, “tempo che i workload saranno convertiti e tutto sarà lì”, “ci sono troppi vantaggi è troppo comodo”.
Partendo dal principio che “il cloud è solo il computer di qualcun altro” devo ammettere che sono sempre stato diffidente. L’esperienza mi ha sempre suggerito di evitare prese di posizione nette, soprattutto in ambito informatico dove, la storia lo ha dimostrato, c’è sempre stata una dose di imprevedibilità sugli eventi….
Le affermazioni riportate in apertura le abbiamo vissute tutti (quelli del settore per lo meno), con l’avvento di AWS (Amazon Web Service) intorno alla fine del 2010. Un’era geologica fa, almeno in termini informatici, ed oggi, anno domini 2022 possiamo provare a fare alcuni conti, basandoci su quello che si prospettava al tempo.
Siamo finiti tutti sul cloud?
In verità no. Certo, è corretto dire che sono pochissimi i clienti a non avere proprio nulla sul cloud, ma il fulcro dei propri servizi, almeno per quella che è la situazione italiana oggi e per quello che è possibile desumere dalle esperienze dirette verso i clienti non è sul cloud e nemmeno il proprio centro di business fa affidamento su questo. O quantomeno, i datacenter di proprietà o le situazioni in housing sono ben lungi dallo sparire.
I workload sono stati convertiti tutti per il cloud?
Questa è la domanda che rende chiaro lo stato delle cose. No, la maggioranza dei workload che dovrebbero essere cloud-native in realtà non lo sono.
È il 2022, ma il principio client/server è ancora ampiamente parte della quotidianità di ciascuno di noi e, se non fosse questo, per buona parte dei problemi di performance la soluzione è ancora quella di scalare verticalmente, aumentare cioè le risorse, invece che scalare orizzontalmente, ossia avere più istanze della propria applicazione attivabili all’occorrenza, il che, tutto è, tranne che cloud-native.
Il cloud è davvero meglio?
Qui arriviamo al centro di questo articolo che è l’esperienza diretta di alcuni utenti che, concentrati solamente nell’ultimo periodo, hanno raccontato di contro esodi dal cloud verso ambienti gestiti in autonomia.
Le ragioni sono interessanti e tutte fanno sostanzialmente capo ai costi, dovuti in questo caso ad un uso totalmente irregolare (per il tipo di business) del cloud.
Curiosamente quello a detta di molti è il principio che dovrebbe portare sul cloud ed invece lo si evince chiaramente: “ce ne andiamo perché spendiamo troppo.”
La verità, come sempre, è nel mezzo, è sempre una questione di obiettivi e di costi, ed in casi specifici non è sempre più conveniente rimanere sulla nuvola.
Va infine ricordato sempre, a costo di essere banali, come cloud e cloud-native siano due cose diverse:
le applicazioni cloud-native, moderne e predisposte a scalare orizzontalmente, non hanno come requisito di funzionare sul cloud, ma semplicemente su sistemi che ne favoriscano l’esecuzione, siano il vostro server o “il computer di qualcun altro”.
E voi che idea vi siete fatti? C’è davvero un’inversione di tendenza in atto oppure è solo un’impressione mia?
La bolla cloud sta iniziando a sgonfiarsi oppure banalmente si continuerà a far coesistere gli ambiti che dovranno essere scelti di volta in volta in base alle proprie esigenze?
Parliamone....